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 Per non dimenticare i nostri fratelli copti
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Demennita

Italy
107 Posts

Posted - 21 March 2011 :  17:39:15  Show Profile  Visit Demennita's Homepage  Reply with Quote
I copti tra l’incudine mubarakiano e il martello salafita
Una testimonianza diretta dall’Egitto (16 marzo 2011).

Mentre gli occhi dei media europei e americani sono tutti puntati sull’Egitto post-rivoluzionario che si avvia verso una massiccia partecipazione alla cosa pubblica, lontano da telecamere e taccuini è in atto una tragedia che si consuma in silenzio. La cronaca è lunga e tediante ma non si può farne a meno se si vuole capire le dimensioni di questa tragedia. Già nel mentre i giovani rivoluzionari di piazza Tahrir gridavano “abbasso il dittatore”, a Rafah, al confine egiziano con la Striscia di Gaza, veniva bruciata una chiesa copta e sui suoi muri venivano scritte, con bombolette spray, la shahada islamica e insulti ai cristiani “politeisti”: “No ai nasara (termine coranico per cristiani) in terra d’Islam”; nelle stesse ore, in un villaggio nel sud dell’Egitto venivano ammazzate trenta cristiani (tra cui un bambino di 3 mesi); veniva attaccata la chiesa di San Giorgio in un piccolo villaggio vicino Tahta perché i parrocchiani avevano osato costruire un campanile; ad Assyut un sacerdote copto e un gioielliere cristiano venivano sgozzati. Lo stesso esercito, che non ha ostacolato la rivoluzione e si è schierato a favore di un “nuovo” Egitto, ha attaccato il monastero di Abba Pishoy nel deserto occidentale per un muro di cinta irregolare (malgrado si trovi in mezzo a un oceano di edilizia abusiva). Gli ultimi attacchi: 4mila musulmani bruciano e distruggono a martellate una chiesa a Sol, piccolo villaggio a 80km dal Cairo dove era corsa voce di una relazione sentimentale tra un cristiano e una musulmana (vietata dalla shari‘a). Gli echi di questo assalto di massa si sono avuti sul colle del Muqattam, un quartiere del Cairo a prevalenza cristiana, dove gli zabbalin, responsabili della raccolta dei rifiuti urbani, sono stati aggrediti da un gruppo di musulmani armati mentre manifestavano per la chiesa distrutta a Sol: tredici i morti e più di 110 i feriti.

Non si sa chi si celi esattamente dietro questi attentati. C’è chi parla di elementi dell’ex regime che vorrebbero seminare il caos nel Paese. Giocando con il fuoco confessionale. Questo è, infatti, l’unico modo sicuro per mettere in subbuglio l’Egitto e per far passare alla gente il messaggio: si stava meglio quando si stava peggio. La tecnica è nota: uccidere il copto (inerme) per accusare il musulmano estremista. Così pare sia andata anche con l’attentato di Alessandria del capodanno 2011 quando sono morte circa trenta persone fatte saltare in aria da un’autobomba posizionata all’uscita dalla Chiesa. Per quell’attentato è attualmente sotto accusa l’ex ministro degli Interni, Habeeb el Adly, che avrebbe assoldato un gruppo salafita egiziano chiamato “I soldati di Dio”. A facilitare questa continua persecuzione è l’assenza delle forze dell’ordine: l’Egitto è, infatti, ancora nel caos. L’insicurezza regna ovunque. La polizia non è infatti ancora ritornata del tutto nei quartieri e i conflitti a fuoco tra delinquenti sono all’ordine del giorno, soprattutto nelle grandi città. Aggressioni in casa, furti, intimidazioni a mano armata, appropriazione indebita di immobili e negozi, rapine, omicidi sono il normale bilancio quotidiano in questi giorni terribili. L’esercito, che è ancora schierato, assolve anche le funzioni di ordine pubblico, ma solo parzialmente. Difendersi è compito dei cittadini e in questo farwest è chiaro che a rimetterci sono i più deboli: i copti. Non bisogna pensare però che dietro ogni fatto di cronaca contro i copti ci sia lo Stato. Lo Stato stesso, quando è mandante, fa leva sui sentimenti di odio irrazionale, profondo e indomabile che dominano i cuori di certi musulmani.

L’esercito stesso sta cercando di dare un colpo al cerchio e uno alla botte: attacca il monastero di Abba Pishoy ma promette di ricostruire la chiesa di Sol a sue spese. La ricostruzione pare sia davvero iniziata ed è un buon segno. La costruzione delle chiese in Egitto, infatti, non solo è estremamente complessa burocraticamente – anche solo per costruire una porta ci vuole l’autorizzazione del governatore della regione (!) che spesso non arriva mai – ma anche a totale carico della diocesi, mentre le moschee sono costruite spesso con il denaro pubblico. Che l’esercito si incarichi della ricostruzione di una chiesa è quindi davvero una buona novità.

Ma resta l’unica. Infatti i problemi reali rimangono e vanno ben al di là della costruzione di una Chiesa. E’ infatti in gioco la mentalità degli egiziani. Se il regime se n’è andato (e neanche del tutto, a quanto pare), non se n’è andata una diffusa mentalità intollerante e dittatoriale capace di ricreare un tiranno e un regime in quattro e quattr’otto.

Per questo l’educazione è la soluzione numero uno al problema confessionale. Bisogna insegnare alle nuove generazioni ciò che accomuna copti e musulmani, non ciò che li divide. Copti e musulmani mangiano lo stesso cibo, vivono negli stessi quartieri, ascoltano la stessa musica, ballano le stesse danze e hanno molti eventi storici che li accomunano. Copti e musulmani devono separarsi solo davanti alla porta della chiesa e della moschea e devono tornare a mescolarsi e lavorare e cooperare quando escono dai loro luoghi di culto. Premere sul nazionalismo (senza arrivare alla malattia dello sciovinismo) significa attenuare le tensioni confessionali e offrire un nuovo campo di azione, l’Egitto, che distrae i “contendenti” dal farsi la guerra. Se si insegna al bambino il rispetto dell’altro in quanto egiziano-come-te che ha diritto a credere in ciò che vuole purché ciò non vìoli la legge (e arriviamo anche alle legge…), la situazione migliorerà fin da subito e quando le attuali generazioni saranno passate a miglior vita, l’Egitto sarà più tollerante e più unito. Se si insegna al bambino un po’ di storia del cristianesimo egiziano, affianco all’onnipresente islam (lo studio dell’islam in tutte le salse è obbligatorio per i cristiani) in quanto parte integrante della storia di questa Nazione, le speranze di un cambiamento non potranno che rafforzarsi. Un cambiamento che si realizzerà presto se si insegna, fin da ora, al bambino che la religione riguarda il nostro intimo rapporto con Dio e che la Nazione, essendo super partes, garantisce la pacifica convivenza tra tutti i cittadini, uguali davanti alla Legge.

La Legge, altro punto spinoso. Fino a che la Legge non sarà uguale per tutti, nulla cambierà. I copti vivono ormai da decenni nella più totale passività, disinteressati agli affari pubblici, perché sanno che non possono contare sullo Stato né influenzare il corso degli eventi. Neanche quelli giudiziari. Infatti, chi si macchia di crimini contro i copti non è mai punito. In cinquant’anni di crimi continui, nessuno è stato infatti mai condannato penalmente. Probabilmente il primo a esserlo sarà l’attentatore della chiesa di Nagaa Hammadi che uccise sei giovani copti all’uscita dalla liturgia di Natale del 2010 che i copti festeggiano il 7 gennaio. Ma c’è voluta la rivoluzione per fare emettere la sentenza di condanna. Se i Tribunali funzioneranno davvero senza distinzione di religione, come la Costituzione egiziana afferma, i musulmani intolleranti avranno molto meno voglia di fare i padroni di casa e i copti avranno molta più energia per interessarsi alla cosa pubblica perché non dovranno temere ritorsioni. La questione ovviamente riguarda non solo la giustizia ma anche la legislazione. Bisognerà infatti creare e ricreare leggi laiche che siano effettivamente applicabili a tutti “senza distinzione di religione”. Da Sadat in poi, il regime egiziano ha prodotto una serie di leggi che si basano sulla tradizione legislativa religiosa islamica per compiacere i musulmani radicali. Che ovviamente sono incontentabili. Una nuova legislazione significherebbe che le regole saranno uguali per tutti, così come anche i diritti. Significherebbe trattare i copti come pieni cittadini ed esseri umani, e non come cittadini a metà o come popolazione conquistata, come se dal VII secolo non fosse cambiato niente (vedi tutta la storia della dhimmitudine). Tuttavia, fino a che l’articolo 2 della Costituzione (che afferma che la sharia è la fonte del diritto) resterà, ciò non sarà possibile. E i Fratelli Musulmani e i salafiti sono disposti a tutto purché questo articolo resti per sempre: è la base su cui costruire uno stato islamico. Le due correnti islamiche hanno, infatti, invitato a votare “sì” al prossimo referendum per gli emendamenti costituzionali del 19 marzo in quanto obbligo islamico! Il perché è subito detto: gli emendamenti non hanno toccato l’articolo 2. Mentre i Fratelli seguono il proverbio “chi va piano va sano e va lontano” e non hanno fretta di mangiarsi la torta, i salafiti sono più irruenti e si sono detti pronti a impugnare le armi (e non nel senso metaforico) se solo l’articolo 2 verrà sfiorato con un dito. Uno di questi, Abboud El Zomor, condannato a 40 anni per complicità nell’omicidio di Sadat e recentemente rilasciato dall’esercito, ha affermato di essere pronto ad applicare le pene coraniche (el hodud) invece della legge positiva: fustigazione per gli adulteri e taglio delle mani per i ladri, soprattutto per evitare che i nuovi politici rubino di nuovo.

Un nuovo Egitto, tollerante, in cui copti e musulmani convivano e lavorino insieme, è possibile. Tutte le forze favorevoli alla tolleranza e all’unità del Paese, di entrambe le religioni, stanno già partecipando a crearlo. Ma non è affatto facile. La deludente Europa di questi mesi, è certamente invitata a far sì che questo Egitto si concretizzi, se non vuole ulteriormente approfondire la faglia mediterranea e ritrovarsi con un nuovo califfato alle porte. Le capitali europee non possono più mettere la testa sotto la sabbia, ancor più gli stati mediterranei che sono i più esposti alle sorti dei paesi arabi. Nel frattempo, i copti continueranno a mescolare lacrime e preghiere e ad affidarsi alla protezione della Vergine Maria, la Madre della Luce.

di Wadie Ghadban
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